Sabato 22 marzo 2014, nell’ambito della manifestazione promossa dal Comune di Lanuvio per lanciare il nuovo marchio turistico culturale “Lanuvio urbs imperatorum” è stato presentato un nuovo “antico” prodotto gastronomico legato alla storia della città: la focaccia offerta alla dea Giunone, nell’ambito di uno dei culti arcaici del Lazio. L’iniziativa a cura dell’Associazione commercianti di Lanuvio, con la consulenza storica di Archeogusto di Vita Romana, ha portato alla realizzazione di un prodotto da forno che, basandosi sull’attenta analisi dei documenti, si presenta come una rielaborazione in chiave contemporanea della maza, focaccia rituale offerta alla dea.
Nuove scoperte archeologiche, in fase di pubblicazione, apportando nuovi elementi alla già ricca storia del sito, rendono più affascinante il racconto storico.
La focaccia di Giunone sarà presentata a Roma durante il festival Cerealia 2014.
Il culto arcaico di Giunone Sospita a Lanuvio
Tra i culti religiosi del Lazio arcaico latino una particolare rilevanza aveva certamente quello dedicato alla dea Iuno Sospes a Lanuvio (Sil. It., VIII, 360: Lanuvium, Iunionia sedes). I ritrovamenti archeologici del tempio testimoniano, con la loro monumentalità, un notevole investimento in termini di energie e risorse, investimenti che lasciano pensare ad una importanza non marginale del tempio e della dea già in età arcaica. A lungo Lanuvio ebbe un ruolo importante nell’area della cultura latina partecipando anche alle alleanze della Lega Latina, ed è facile immaginare che questo ruolo fosse connesso con l’importanza di Iuno Sospes per i popoli latini. Ancora dopo la romanizzazione di Lanuvio (o, comunque, dopo l’ingresso definitivo della città nell’orbita romana), il tempio era meta di pellegrinaggi numerosi che continuavano quelli dell’età arcaica e che costituivano una risorsa economica rilevante per la città. Nel 338 a. C. il culto di Iuno Sospes fu introdotto ufficialmente a Roma e, se non nella stessa data, in un periodo vicino fu concessa la cittadinanza romana agli abitanti di Lanuvio. Di fatto Iuno Sospes e Lanuvio diventavano romani: i consoli erano tenuti (Cicerone, Pro Mur., 41, 90) a celebrare un sacrificio a questa dea (non è chiaro se oltre al sacrifico a Roma, alle calende di febbraio, ne dovessero svolgere anche un altro a Lanuvio) e fu istituito un apposito collegio sacerdotale, Sacerdotes Lanuvini, tratto dalla classe degli equites, con un flamen sottoposto a questi sacerdoti.
Parte integrante del culto della dea era il rito di offerta di cibi ad un serpente che viveva in una profonda grotta nelle vicinanze del tempio di Iuno. Abbiamo due descrizioni del rito, sostanzialmente coincidenti. Secondo Properzio (4, 8, 3-14), annualmente delle fanciulle vergini erano incaricate di recare al serpente un’offerta di cibo. Le fanciulle dovevano compiere il tragitto in discesa verso la grotta in solitudine, recando le offerte alimentari su dei canestri. Una volta consegnata l’offerta le fanciulle potevano tornare dai parenti che le attendevano e il loro ritorno era accolto con giubilo dai contadini, poiché era di buon auspicio per la fecondità dei campi nel prossimo anno agricolo. Nel caso in cui, però, la fanciulla non fosse stata vergine, allora, lascia capire la nostra fonte, la fanciulla non sarebbe mai tornata dai partenti e l’annata agricola sarebbe stata nefasta.
La nostra seconda fonte, Eliano (Perì zoon, XI, 16), aggiunge qualche particolare, specificando che l’ampia e profonda grotta ove viveva quello che Eliano definisce drago (Drakon) si trovava in un bosco. Nei giorni stabiliti le vergini consacrate entravano nel bosco con gli occhi bendati, recando in mano una focaccia. Grazie ad un soffio divino che le avrebbe condotte direttamente al giaciglio del drago senza farle inciampare, le fanciulle potevano procedere come se non fossero bendate. Qualora fossero state realmente vergini il drago avrebbe accettato il cibo come puro e conveniente per un animale caro agli dei. Il drago, precisa Eliano, era in grado di accorgersi della corruzione delle fanciulle grazie ad una sorta di spirito profetico e qualora una delle fanciulle non fossero state vergini avrebbe rifiutato il cibo e la focaccia sarebbe rimasta intatta. Le formiche si incaricavano allora di sbriciolare la focaccia e di trasportarla fuori dal bosco, purificando così il luogo. In questo modo la mancata purezza della ragazza sarebbe stata resa nota agli abitanti del luogo e colei che avesse contaminato la propria verginità sarebbe stata punita con le pene stabilite dalla legge. (estratto dal testo di Marco Menicocci Le vergini e il sepente, pubblicato su www.lanuvioonline.eu)
La focaccia
Proprio grazie ad Eliano conosciamo la natura dell’offerta rivolta al serpente: il termine utilizzato dall’autore, che scrive in lingua greca, è maza, parola utilizzata per indicare vari tipi di focaccia, per i quali venivano normalmente utilizzate farine grossolane di cereali quali orzo o farro, o legumi (ceci e fave) impastate a scelta con acqua, olio, miele o latte. La maza poteva avere un impasto diverso a seconda delle occasioni d’uso: poteva essere preparata in varianti elaborate e raffinate, adatte al momento del simposio che seguiva il banchetto classico, poteva essere consumata cotta o cruda e sotto varie forme, dalla focaccia, ai pani, alle gallette. La maza era utilizzata anche come base per altri alimenti (e per questo considerata tra le antenate della pizza) e talvolta come vero e proprio piatto, secondo una tradizione che si ritroverà anche in fonti più tarde, tra cui Virgilio, che nell’Eneide (VI, 420) parla di una focaccia con droghe e miele che la Sibilla getta a Cerbero, e soprattutto fa dire all’arpia Celeno che Enea e i suoi, giunti nel Lazio esuli da Troia, avranno una fame terribile, che li costringerà a mangiare anche le mense, focacce di farro usate come piatti per contenere gli alimenti.
La ricetta di Lanuvio
I dati in nostro possesso (fonti e dati archeologici) non permettono di identificare con certezza gli ingredienti della maza lanuvina: le indagini archeologiche hanno rilevato resti alimentari riferibili a fave e ceci cotti, oltre a resti di ovini e caprini nelle immediate vicinanze del luogo identificato come l’antro del serpente. Tali alimenti rientrano perfettamente nell’ambito delle offerte sacrificali per le divinità ed è plausibile immaginare che la maza, anche in questo caso, avesse la funzione di “piatto” commestibile, su cui adagiare carni e legumi. Sono state sperimentate due ricette di maza: la prima, salata e senza lievito è certamente la più vicina alla focaccia offerta al serpente e potrà essere accompagnata da olive condite, legumi e carni arrostite che la inumidiscano con i loro umori, la seconda è una maza dolce e lievitata usata nei banchetti. Entrambe saranno realizzate con farine di farro e/o orzo integrali.
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