La pace si fa a tavola

Alimentazione: La pace si fa a tavola …

“La pace si fa a tavola –  la Dieta Mediterranea patrimonio culturale per il dialogo fra i popoli del Mare Nostrum” 

Intervento di Giorgio Bergamini sui Pani Biblici in occasione dell’evento promosso dal Centro Meseuro e l’associazione Pugliaeuropa. Bari – Fiera del Levante – Sabato 18 Settembre 2010  ore 12 – Sala Olmo pad. 10. (per gentile concessione dell’autore)

Inizialmente il tema di questo incontro era stato pensato come un’occasione per parlare di pace almeno attorno al patrimonio comune delle due gastronomie,la Israelianaela Palestinese, a margine della ripresa delle trattative di pace tra i rappresentanti dei due popoli, tenuto conto anche del loro storico e fondamentale contributo alla formazione dell’identità della Dieta Mediterranea.
Difficoltà varie, tra le quali la coincidenza  con lo Yom Kippur ebraico, hanno portato a focalizzare l’evento sul significato culturale della Dieta Mediterranea, in finale per la promozione presso l’UNESCO a patrimonio immateriale dell’umanità. Vista l’assenza dei contributi e competenze della  componente ebraica, mi è stato chiesto di parlare dei Pani antichi di questa area del Medioriente, restando il Pane anche oggi il principale elemento e simbolo della Dieta Mediterranea. In mancanza di competenze specifiche relative alle due gastronomie attuali, ho cercato di ricostruire qualche esempio di come fossero i Pani in Israele nell’antichità, in particolare prima del II secolo d.C., quando lì esisteva una sola identità, quella ebraica, nella quale rientravano anche i primi Cristiani e la relativa gastronomia. Infatti è solo in seguito che le religioni  rivelate diventano due e più tardi tre con l’Islam, con il consolidamento di identità diverse, diverse culture e diverse gastronomie, a partire però da un’origine comune, che non ha impedito per millenni sanguinosi conflitti, che speriamo tutti di poter finalmente ascrivere al passato. Pur avendo a disposizione  tanti libri sul pane, non ho trovato descrizioni  su questo periodo specifico, per cui, per restare nel tema, ho limitato la ricerca ai testi dell’Antico Testamento, del Nuovo Testamento e ad un Vangelo Apocrifo. Poche sono le notizie emerse su tipologie di Pani particolari, tra i quali, fra l’altro, alcuni non rientranti in nessuna delle tradizioni delle popolazioni attuali del Mediterraneo, mentre comunque tutti sono apparsi molto significativi, in termini di validità nutrizionale, proprio in riferimento ai principi salutistici, che sono alla base di una corretta definizione della Dieta Mediterranea. Questo non vuol dire che nella Bibbia le citazioni del Pane non siano tantissime e rimando per questo all’ottimo lavoro che ha fatto Predrag Matvejevic nel suo bel libro appena uscito “Pane Nostro”, edito da Garzanti, che però conferma la scarsità di notizie, nelle antiche scritture, di come fossero fatti effettivamente i pani di cui si parla. Una prima interessante eccezione a questa penuria di informazioni la si trova nell’Antico Testamento, Ezechiele 4,9: “Tu intanto prenditi del frumento, dell’orzo, delle fave, delle lenticchie, del miglio e della spelta; mettili in uno stesso recipiente e fattene del pane”. La ricetta fa riferimento alla dieta dei Giudei ai tempi dell’assedio di Gerusalemme, da parte di Nabuccodonosor, nel 588-7 a.C. E’ un elenco preciso dei componenti, molto interessante per la loro completezza nutrizionale, vitale in un assedio, quando finivano presto la carne, i frutti, le verdure ed anche la legna da ardere, di come lo facessero però, non lo troviamo in Ezechiele, ma dobbiamo andare su un Vangelo Apocrifo, il “Vangelo Esseno della Pace”. E’ un documento che viene riferito, pur non essendone certa né la datazione, né la autenticità, ai papiri trovati nei pressi del sito di Quomran, vicino al  Mar Morto. Qui effettivamente nel 70 d.C. una comunità monastica degli Esseni venne sterminata dai Romani, dopo aver salvato in caverne delle montagne circostanti i rotoli della loro biblioteca, che saranno ritrovati dopo il 1947 e che sono ancora oggi oggetto di studio. Nel documento si parla di far germogliare i semi prima di fare il Pane, per cucinarlo poi, dopo la lievitazione, o al sole, a forma di sfoglie sottili, o sotto la sabbia, sempre al sole, a forma di pagnotte, cotte per ore, a temperature non elevate. E’ da notare che nei semi, germogliando, si ha una trasformazione degli amidi in zuccheri elementari, che sono ben digeribili anche cotti a bassa temperatura, mentre  noi non digeriamo gli  amidi, se non con una cottura ad alta temperatura. La cottura a bassa temperatura permette però di salvare le preziose vitamine dei germogli, mentre i legumi forniscono importanti  proteine, sostitutive della carne. La conferma che la pratica di far germogliare i semi era già ben nota al tempo di Ezechiele viene da recenti notizie, la fonte è un’archeologa romana, Carmen Russo, omonima dell’attrice,  che mi ha parlato di ritrovamenti in antiche tombe, sia in Egitto che, da parte di colleghi, in Mesopotamia, di dotazioni funerarie di personaggi di alto rango, dove i Pani contengono chicchi interi, che, a mio giudizio, non potevano che essere germogliati, mentre gli archeologi avevano ipotizzato  antichi motivi rituali. Erano evidentemente Pani speciali, ritenuti preziosi come completezza nutrizionale, in vista del lungo viaggio nell’aldilà, oltre che essere evidentemente riservati ai ricchi, visto che, nelle altre tombe dei meno ricchi, i Pani non mostravano chicchi interi. Passando al Nuovo Testamento, nel Vangelo di Matteo: 13.3, dove si parla di Lievito, troviamo un’altra interessante notizia. Il testo recita: «Disse loro un’altra parabola: “il regno dei cieli è simile a del Lievito che una donna prese ed impastò con tre misure di farina, finché tutto fu fermentato”. E’ sorprendente che si parli di lievitazione con pasta madre acida e non di pane azzimo o di lievito di birra, già usato dai Sumeri, dato che sono citate le stesse proporzioni tra lievito e farina in uso, fino a non molto tempo fa, anche dai nostri bravi fornai pugliesi. Questa procedura, che descrive evidentemente la normalità, sembra indicare che, solo dopo la diaspora, il pane azzimo diventa un più importante elemento della identità ebraica, come ci racconta Predrag Matvejevic, per essere poi adottato, in fattura bianchissima, anche dal Cattolicesimo per l’Eucaristia. A proposito di Pane bianco, il grado di raffinazione della farina per panificare è stato da sempre un segno distintivo della classe sociale, tema che approfondisce Camporesi nel suo saggio  “La Terra e la Luna”, edito da Garzanti.
Pane bianco quindi per i ricchi e l’alto clero, era forse ritenuto più puro, e pane scuro per il popolo, cui si attribuiva una fisiologia ed esigenze diverse da quelle dei ricchi. E’ un concetto che troviamo anche nella pubblicazione “Il Pane” edita dall’INSOR con introduzione di Corrado Barberis, dove a Pg. 172 si legge che nella Firenze del XVIII secolo, al popolo spettava il Pan Bruno, detto Ordinario, mentre ai ricchi era riservato il Pan Ducale, di fior di farina e di forma circolare, ben diversa dal Pan Bruno, che era quadrata, formata da più filoni affiancati e che doveva essere riposto ben separato dal Pan Ducale, quasi se ne temesse la contaminazione. Per venire più vicino a noi, tradizionalmente in Puglia ed anche in Sicilia nelle famiglie, fatta eccezione per i nobili, si mangiava Pane scuro e si preparava del Pane Bianco solo per i malati: vedi nei Malavoglia del Verga dove si parla di uno che stava così male,  era quasi in fin di vita, da essere ridotto al “Pane Bianco”. Nel secondo dopoguerra però, dopo il 1945, intutta Italia si passa gradualmente al Pane bianco per tutti e al lievito di birra, mentre l’integrale diventa uno spiacevole ricordo della guerra, quando però il Pane era fatto, come mi è stato riferito da un esperto, con le stesse ricette, elaborate dal canonico bolognese Segni a cavallo del 1600, per sfamare i poveri durante le periodiche carestie (sempre da Camporesi nel “La Terra e la Luna”). Per ricordare di che cosa si parla, riporto l’inizio di una di queste ricette: ” Di segatura sottile d’arbori giovani, come peri, meli, ceriegi e scorze loro in forno e polverizzate. Verbi gratia tanto di questa polvere, tanto di gramigna preparata e tanto di tritello con un caldaro de rape sfarinate, ben passate per setaccio, con finocchio e prima fermentato, si compone una specie di Pane, che, essendo ben cotto, sostenta i poveri”.  
Durante l’ultima guerra questo Pane molti di noi l’hanno mangiato e possono assicurare che non faceva ingrassare…, ma neanche faceva male, forse perché la lievitazione con la pasta madre lo rendeva meno tossico di quanto poteva essere, se fosse stato fatto con il lievito di birra. Infatti, purtroppo, oggi sappiamo che il lievito di birra fa male, specialmente per lievitare il pane integrale, poiché affatica i reni e non neutralizza il pericoloso acido fitico, come riporta N. Valerio ne “L’alimentazione naturale”, Oscar Mondatori, 1992 pag. 720, ed in più il Pane fatto col lievito di birra non dura, il giorno dopo non è più buono, indurisce, per poi ammuffire in pochi giorni: ecco perché in Italia se ne buttano quantità enormi, mentre il Pane integrale non si butta mai. Eppure nella Roma raffinata descritta da Petronio, nella cena di Trimalcione, leggiamo dal Satyrcon: “Per primo ci è stato servito un maiale incoronato con una salsiccia con contorno di sanguinacci, rigalie cucinate a puntino e bieta e autentico Pane integrale, che io preferisco a quello bianco; infatti è più nutriente e quando vado al bagno non piango”: era il panis cibarius, destinato alla plebe e chiamato così anche plebeius. E’ interessante la notazione di autentico, che sembra alludere a quel pessimo Pane integrale che spesso troviamo oggi, confezionato con una falsa farina integrale, ottenuta mescolando farina  raffinata con crusca, privata del germe e lievitato poi con il lievito di birra, con il risultato di una non salubrità, percepibile anche da  un sapore sgradevole. In effetti è ancora difficile trovare un buon Pane integrale, poiché dovrebbe essere fatto solo con grani provenenti da culture biologiche, oltre che essere lievitato con la pasta madre, mentre praticamente la totalità dei grani in commercio sono trattati per evitare muffe e parassiti, trattamenti che vengono eliminati assieme alla  crusca nella macina. Oggi in Italia a livello di cultura diffusa, anche a causa del “non autentico”, prima citato, siamo ben lontani dal percepire il maggior valore nutrizionale del Pane integrale, vista anche la difficoltà, rispetto al Pane bianco, di  trovarne di ben fatto, come avviene invece oggi sempre di più nella cucina del Nord Europa, oltre che nella Roma antica… Anche il Pane lievitato di cui si parla nel Vangelo di Matteo è molto probabile, se a farlo era una donna del popolo, che fosse integrale, come quello che, una quindcina di anni fa, abbiamo provato e visto produrre, in Egitto, in un forno del centro di Assuan. In altri Paesi del Medioriente (Armenia, Siria, Giordania, Israele e Turchia) il Pane, nel secondo dopoguerra, come da noi, è diventato progressivamente tutto bianco, a causa degli aiuti e dell’influenza culturale americana, ma abbiamo testimonianze che così non fosse in passato, come ci racconta l’amico palestinese Mohammad Afanet, che si ricorda del Pane scuro dell’infanzia. E’ a lui che dobbiamo anche le ricette degli assaggi di antipasti della cucina Palestinese, realizzati con competenza oggi dal bravo studente palestinese  Iad  Masarwa. Si è trattato di una Zuppa di Lenticchie Rosse, dei Falafel di Ceci e della Tajna, tutte specialità in linea conla DietaMediterranea, che ritroviamo peraltro con altri nomi anche nell’attuale cucina ebraica. Tornando a Matteo, c’è un’altra notizia che Predrag Matvejevic ci segnala in riferimento ad una più corretta traduzione dall’Aramaico del tipo di Pane, di cui si nutriva nel deserto San Giovanni Battista, che non sarebbe stato impastato con l’aggiunta di “cavallette”, ma bensì, più correttamente, con le “carrube”, con un valore nutrizionale così assai interessante, oltre alla piacevolezza del gusto, anche se le cavallette non sarebbero state poi così male, dal punto di vista proteico.
Aggiungo da ultimo una notizia indiretta sulla natura dei grani usati nell’antichità. Mi è stato riferito di una antica scrittura dove si parla di un manipolo di soldati a cavallo che, in difficoltà  con il nemico, si inoltra in un campo di grano, sparendo dalla vista: erano evidentemente grani alti più di2 metri, l’altezza che aveva il meraviglioso Saragolla, coltivato nel Sud d’Italia fino al 1945, quando cadde presto in disuso, sostituito dal Manitoba, a causa della bassa resa, anche se aveva fino al 18% di glutine, conteneva anche il Selenio, ed era impiegato per dare forza alle farine.
Era un esempio degli ottimi grani chiamati Orientali, usati nell’antichità anche in Egitto e dai Romani, e ancora oggi in piccole aree del Medioriente,  mentre ora noi importiamo dal Canada, a caro prezzo, anche il Kamut, che è la stessa cosa del Saragolla, come è stato recentemente rilevato dalla dott.ssa  Angela R. Pietrogiovanni dell’’Istituto di Genetica Vegetale del CNR di Bari, alla quale ho portato campioni, che ho coltivato e selezionato, a partire da sementi molto mescolate con altre specie, di fornitura Bioland. Vediamo ora che cosa significano i Pani citati in relazione alla Dieta Mediterranea. A questo proposito bisogna premettere che è lo studioso Ancel Keys, l’inventore della razione K, che, nel secondo dopoguerra, rileva a Creta e nel Cilento il minimo dei decessi per malattie cardiovascolari, rispetto al Nord Europa ed agli Stati Uniti, e definisce come esemplare la dieta di questi siti, molto vicina allora anche a quella di altre Regioni del Sud d’Italia, in contrapposizione alle diete del Nord, ricche di carne, gassi animali, formaggi e povere di carboidrati, frutta e verdura. La propone così come ideale anche per la popolazione degli Stati Uniti , già allora afflitta da obesità e patologie da questa derivanti. Per inciso, è interessante sapere che avendo visto, nel corso delle sue ricerche, un paesetto nell’interno del Cilento caratterizzato da un alto numero di centenari, all’atto del pensionamento si ritira in questo posto, dove vive felicemente fino a 100 anni (2005).
Su quella che in seguito, nel 1992, verrà definita come Dieta Mediterranea va osservato però che  nelle zone virtuose, da Keys visitate allora e che lo avevano convinto a mettere pane e pasta alla base della dieta ideale, non era ancora avvenuta la conversione dalle farine integrali alle farine superraffinate, che arrivano con gli aiuti americani. Negli Stati Uniti, in effetti, la cultura alimentare era basata sulla carne e pochi carboidrati, per cui lo scarto della superaffinazione del macinato, che arrivava lì al 45%, era in realtà il prodotto principale, destinato a mangime per gli animali, mentre la farina era quasi  un sottoprodotto, una sovraproduzione, che si poteva così anche regalare. Il grosso problema, che riguarda anche noi oggi, è che le raccomandazioni di Keys per vari motivi non hanno poi risolto i problemi legati all’alimentazione della popolazione americana che, dopo 20 anni, presentavano percentuali di obesità superiori a quelle iniziali, a causa anche dell’equivoco dell’uso e abuso di carboidrati raffinati, ritenuti erroneamente coerenti conla Dieta Mediterranea, così come fu inizialmente definita. E’ un altro medico, il Presidente della scuola della medicina della Nutrizione dell’Università di Harvard, Walter Willet, che viene incaricato dalla amministrazione USA di studiare il problema, fornendogli adeguati mezzi per le ricerche multidipliscinari, e fornire raccomandazioni più efficaci di quelle di Keys. Willet,  arriva alla conclusione che i responsabili dell’ingrassamento non sono i grassi, demonizzati da Keys, per i quali il nostro organismo avverte la sazietà, ma i carboidrati raffinati e gli zuccheri, che per di più creano dipendenza, spesso sotto forma di una invincibile e falsa fame impulsiva compulsiva, proprio come l’eroina, aggravata da un meccanismo di assorbimento rapidissimo, poiché il nostro organismo non è geneticamente preparato a farne un uso corretto, con il senso di sazietà ed un assorbimento lento: una evoluzione, afferma, che potrebbe avvenire in futuro solo in centinaia di generazioni.
Nelle sue ricerche, estese allo stato di salute deducibile anche dall’esame degli scheletri umani già dal paleolitico, egli deduce che stavano tanto meglio quanto più grossolana era la loro  macinazione dei cerali, con il minimo “indice  glicemico”, diremmo oggi.
Lui estrapola così la necessità di un  ritorno ai cereali non raffinati come ai primordi dell’umanità, quando non erano disponibili le attuali macchine molitorie, arrivando ad auspicare la preferenza di preparazioni che prevedono l’uso di chicchi interi e mette alla base della piramide alimentare Pane e Pasta integrali, ottenuti da farine macinate grossolanamente, mentre pane e pasta bianchi, zuccheri e bevande zuccherate li mette, apriti cielo, in cima alla sua piramide alimentare, scoraggiandone sostanzialmente l’uso.
Cita comunque, come essenziale al successo della dieta,  anche l’attività fisica.
Dopo aver spiegato scientificamente gli errori e dannosità di diete come la “Low Carb”, oppure la dieta proteica di Atkins, raccomanda invece una dieta dove ben il 55% del fabbisogno calorico sia fornito da carboidrati buoni, cioè non raffinati, il 30% delle calorie, non poco insomma, sotto forma di olio d’oliva (un bel segnale per la nostra olivicoltura, danneggiata tutt’oggi dagli errati consigli, non solo di Keys, ma anche di alcuni attuali soloni, di limitare l’assunzione di olio, perché ingrassa e non è vero), oltre ad oli di altri semi (ottenuti però esclusivamente con estrazione meccanica a freddo) e solo il 15% di proteine, che preferibilmente  saranno vegetali, cioè ricavate dai legumi.
Naturalmente questi concetti sono osteggiati in America dalle multinazionali, che usano soprattutto la dipendenza da zuccheri e carboidrati raffinati come principale strategia di marketing, e dagli allevatori, pilastro della dieta carnea, per cui si arriva addirittura a boicottare la diffusione delle raccomandazioni di Willett con azioni legali. In pratica l’amministrazione USA pubblica alla fine raccomandazioni che si riducono sostanzialmente al consiglio di fare del moto, sfumando gli scomodi precetti di Willett. Il principale strumento per attuare  questi misfatti è il Data Qualità Act (DQA), nato per “assicurare e massimizzare la qualità, l’obiettività, l’utilità e l’integrità dell’informazione”, che, all’atto pratico, viene usato dai gruppi industriali per rallentare o arrestare i tentativi di emanare nuove normative, attaccando la credibilità dei rapporti scientifici, come è noto è successo anche nelle operazioni di screditamento del National Assessmenton ClimateChange, che portarono l’America a non aderire al protocollo di Kyoto, oltre a rifiutare le raccomandazioni che provenivano dalle ricerche di Willett. Anche in Italia diffusi fenomeni di conflitti d’interesse hanno, di fatto, rese inaccessibili queste indicazioni, con l’assurdo della pubblicazione, da parte del più grande produttore di pasta italiano, di una guida ad una sana alimentazione, comparsa anche sulla Repubblica, dove si dice che il Pane e la pasta fanno bene, sono la base della Dieta Mediterranea, senza segnalare che per “fare bene” dovrebbero assolutamente essere integrali, ed è grave che non ci siano state reazioni di dissenso a questi consigli.
Gli interessi in gioco ed una malintesa difesa del patrimonio gastronomico italiano hanno condotto al paradosso che un testo di W. Willett, “Eat, Drink, and Be Healthy” una guida alla sana alimentazione della prestigiosa “Scuola Medica di Harvard”, diffuso in decine di milioni di copie, in particolare in Nordeuropea, dove ha contribuito a modificare radicalmente le precedenti abitudini alimentari, non ha trovato in Italia un editore che ne pubblicasse la traduzione, considerandolo in qualche modo un traditore. Venendo poi a parlare della Puglia, è nel passato che noi troviamo proprio una applicazione ideale dei precetti di Willet, visto che le minestre di grano non macinato interpretano in modo perfetto la raccomandazione al ritorno ai cibi del paleolitico, ed è noto poi come la carne non si vedesse qui quasi mai sulle tavole, egregiamente sostituita da gustose preparazioni di legumi, da tante verdure, l’unico grasso era l’olio d’oliva, mentre la fatica dei campi, il lavoro manuale e il muoversi a piedi completava il quadro della perfezione dietetica.
Oggi è evidente la necessità di ristudiare e correggere il nostro ricchissimo patrimonio gastronomico per rinnovarne la esemplarità in termini di salubrità dietetica, riconducibile a una più corretta interpretazione della Dieta Mediterranea, visto che oggi in Puglia, purtroppo, troviamo il paradosso del 50% in più di obesi, rispetto alla media nazionale e fino al 100% in più per quanto riguarda l’infanzia, come ci ha raccontato, anche recentemente, l’Assessore Stefàno, allineandoci così al disastro in USA della iniziale Dieta Mediterranea, impropriamente applicata dalla popolazione statunitense.
Se avesse successo questo difficile compito, realizzeremmo anche un’azione dimostrativa del “si può”, visto che si poteva, in contrasto con le difficoltà di Willet in patria, dove le sue raccomandazioni vengono criticate ed osteggiate come teoriche e inapplicabili. Sarebbe così un aiuto anche ad Obama, che sta cercando di correggere le attuali cattive abitudini alimentari ed anche energetiche dei suoi concittadini.
A proposito di abitudini energetiche, possiamo aggiungere alla fine che in Puglia, prima del secondo dopoguerra, le case non erano riscaldate e l’alto metabolismo basale, che caratterizzava la maggioranza della popolazione, grazie alla vera Dieta Mediterranea, consentiva di considerare come benessere temperature, in casa, di 14-16 C°. Avviene poi che, con il passaggio ai carboidrati raffinati, all’orgia degli zuccheri, alla riduzione della attività fisica  ed al fallimentare controllo del peso con la riduzione delle calorie, diminuisce il metabolismo basale e la popolazione diventa sempre più sensibile al freddo, oltre che ingrassare, per cui la temperatura di benessere diventa sempre più alta, avvicinandosi a quella ben poco sostenibile degli Americani, con i loro 25-28 C°. Come rimediare a questa situazione, riducendo drasticamente i consumi energetici relativi al riscaldamento degli edifici?
La cura è ancora la stessa e consiste in un’applicazione ferrea di una corretta Dieta Mediterranea, che ci permetterebbe  così, non solo di vivere più a lungo in salute, ma anche di risparmiare oltre due terzi delle spese del riscaldamento invernale. Questo assunto, poco noto, noi abbiamo cercato di applicarlo in casa nostra, dove, con una dieta corretta ed un po’ di moto, siamo effettivamente riusciti a ridurre, senza soffrire, la nostra temperatura di benessere d’inverno intorno ai 15 C°, pagando solo lo scotto di qualche amico, che, nostro ospite, dopo poco tempo manifestava l’impellente necessità di ritornare a casa propria, perché aveva la sensazione di morire di freddo. Detto questo, in conclusione e tornando ai Pani antichi, è ora evidente quanto siano interessanti, per quanto riguarda le prescrizioni di Willett e la relativa vera interpretazione della Dieta Mediterranea, prima di tutto il pane di Ezechiele, con i chicchi interi germogliati di Cereali e Legumi, assieme al Pane degli Esseni, ancora con i chicchi interi e germogliati, oltre agli altri Pani Integrali riferiti a Matteo, tutti preparati con semi arcaici caratterizzati da ottimi glutini, cioè da proteine altamente salutari, tutto il contrario della attuale moda del “senza glutine”, originata dalle patologie dovute ai glutini dei grani ibridizzati nel dopoguerra con i raggi γ, per ridurne l’altezza ed aumentarne la resa. In effetti, delle molte forme di allergie, che cominciano ad essere individuate come risultato delle mutazioni genetiche ottenute con i raggi γ, non solo degli steli, come si credeva, ma anche, inavvertitamente dei semi,  ci avrebbero dovuto parlare qui i proff. Giannattasio e Benedettelli, salvo poi il cambiamento di  programma, per cui di questo tema si riparlerà un’altra volta, salvo cercare di evitare, se è possibile, di mangiare i carboidrati ibridizzati in questo modo, che purtroppo sono tanti, quasi tutta la produzione italiana, non sono noti e non sono in alcun modo riconoscibili.
Si lamenta a questo proposito la mancanza di un legislazione che ne imponga l’indicazione, come i temuti OGM, dei quali non esiste peraltro una casistica scientifica, proveniente da autorevoli fonti nazionali, di comprovata nocività o innoquità, ma solo divieti nazionali derivanti da principi di precauzione. Due pesi e due misure insomma a favore degli ibridi ai raggi γ, la cui dannosità sembrerebbe oggi ben più certa: aspettiamo, per questo, notizie da Giannattasio e Benedettelli. Assaggi: per dare corpo alle descrizioni degli antichi pani di Israele, abbiamo chiesto all’amico Beppe Concordia, panificatore curioso e attento, titolare del Panificio Adriatico, di riprodurli nel suo forno, rispettandone il più possibile la composizione ed il tipo di lievitazione, eccetto l’uso del Sole, non praticabile, data la localizzazione e la stagione, allo scopo di permetterci di assaggiare campioni di queste archeologie viventi. Sono stati utilizzati tutti grani antichi da culture biologiche,  macinati a pietra, comela Spelta,la Saragolla,la Risciola, l’Orzo, il Farro ed il Senatore Cappelli, di fornitura Bioland di Gravina, con i quali ha preparato: il Pane di Ezechiele, il Pane degli Esseni, dei Pani integrali lievitati, riferibili alla citazione del Vangelo di Matteo, non solo, ma anche al Panem Cibarius dei Romani, il pane di San Giovanni Battista con le carrube ed anche il Pane di Petra, aromatizzato con pepe rosa e attribuito ad una tradizione Nabatea. Per inciso tutti i grani utilizzati provengono da produttori Pugliesi, realizzando così il precetto della filiera corta, essenziale per evitare i trattamenti dei grani che vengono da lontano, non solo ma anche per essere sicuri che non ci siano quegli  ibridi, oggi generalizzati nelle coltivazioni italiane, che sono stati ottenuti modificandone  il genoma nel dopoguerra, come già accennato, bombardandoli alla cieca  con i raggi γ, per aumentare la resa proprio a partire da sementi come quelli prima citati, tutti caratterizzati all’origine da rese modeste, a causa della lunghezza degli steli.

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